Ho iniziato a nuotare da molto piccola, e ammetto di non aver amato questo sport da subito… mi ci è voluto un po’ di tempo e, soprattutto, l’arrivo del team di sincronizzato (con la musica sott’acqua che aveva tutto il suo perché). Di quel periodo, il ricordo peggiore è legato ad un evento in particolare: le gare di fine anno. Mi metteva un’ansia pazzesca l’idea della competizione con altri bambini, non solo perché sapevo di non essere particolarmente veloce, ma soprattutto per l’idea del confronto brutale fra di noi, contro il tempo, per una medaglia di tollino e per ricevere approvazione…
Ovviamente non per tutti era così, c’è sempre stato chi trovava nella competizione, non solo sportiva, uno stimolo a fare meglio, a superare sé stesso e i propri limiti, e va benissimo. Trovo che però ci siano ancora troppo spesso, nella vita adulta, gli strascichi di una competizione malsana, che si manifestano sotto forma di giudizio (di cui quello verso noi stessi è spesso il più implacabile) e di bisogno di battere la “concorrenza”. Inoltre, e lo dico con dolore, noi donne abbiamo un triste primato in questo campo: in genere sappiamo fare squadra meno degli uomini, e le prime a rimetterci siamo proprio noi. Quando però decidiamo di cooperare invece che competere, succede la magia.
Il cerchio di donne che si è formato settimana scorsa al mio workshop “Identità e Archetipi” è stata una manifestazione potente della forza straordinaria di cui siamo capaci quando ci spogliamo del bisogno di competere e ci apriamo al confronto, alla condivisione, ma soprattutto ci esponiamo con le altre nonostante la paura del giudizio, e proprio per questo veniamo accolte senza che ne esca nemmeno una briciola.
Una rosa non compete con un gelsomino, né i due si confrontano a vicenda: insieme regalano profumo e bellezza in un giardino delle meraviglie. Sono sicura che la magia si ripeterà e non vedo l’ora di assistere allo spettacolo.